La manifattura di vasi e ornamenti in terracotta di Mortefontaine rappresenta la più innovativa delle molteplici attività intraprese dai fratelli Piranesi durante il periodo trascorso in Francia, periodo che si estese dal 1799, quando i figli del celebre incisore Giovanni Battista Piranesi scelsero la via dell’esilio a seguito della caduta della Repubblica Romana, al 1810, anno della morte di Francesco. Quest’ultimo è stato non solo il principale continuatore dell’opera paterna, ma anche il responsabile dei progetti e delle realizzazioni della bottega Piranesi fin dal periodo immediatamente successivo alla morte del suo fondatore .
Il trasferimento da Roma a Parigi avvenne sotto l’esplicita protezione francese, a cominciare dal trasporto delle pesanti casse contenenti i rami dei ventitré volumi che componevano allora il catalogo della Calcografia Piranesi . Con questo prezioso carico al seguito, i due fratelli affrontarono il viaggio che li portò a Parigi nel dicembre 1799 . Nei mesi immediatamente successivi, la stampa coeva concordava nel riportare le ragioni che avrebbero spinto il Primo Console – carica che Napoleone Bonaparte aveva assunto con il colpo di stato del 18 brumaio anno VIII (9 novembre 1799) – ad offrire a Francesco e Pietro Piranesi il proprio sostegno. Vantaggi per il commercio e per il perfezionamento dell’arte dell’incisione in Francia: questi i motivi che, secondo quanto sostenuto in forma pressoché identica sulle principali riviste parigine, furono alla base della protezione offerta dal governo alla Calcografia Piranesi. Ma non dovevano essere estranee a tale scelta anche evidenti ragioni di prestigio se, come ricordato sulle pagine del « Journal des Arts », era un fatto noto che si trattava di una “collection déjà si célèbre à Rome, que le Pape en faisait présent d’un exemplaire à tous les Souverains qui voyageaient dans ses Etats” .
L’interesse che l’opera piranesiana poteva suscitare nel nuovo contesto francese non sfuggì ai più acuti osservatori del tempo. Charles-Paul Landon, pittore, critico d’arte, incisore, editore e giornalista, sulle pagine del « Journal des Arts », osservava:
Cette riche collection doit plaire également aux hommes de goût et aux artistes. Les volumes de vases, candélabres, lampes, autels, trépieds, et autres monumens de ce genre, offrent un recueil des formes les plus riches et les plus belles. Sous ce rapport ils intéressent tous les établissemens qui s’occupent des arts d’imitation, d’embellissement, et qui portent en France au plus haut degré de perfection, soit les fabriques de porcelaine et de terres cuites [...] ; soit le manufactures de meubles et de papiers peints, dont aujourd’hui, grâce aux belles combinaisons des Anciens, les modèles sont variés à l’infini .
Il pensiero di Landon rifletteva le idee più avanzate dell’epoca in merito non soltanto alla riproduzione dell’Antico, ma all’inserimento di tale riproduzione in una prospettiva industriale. Iniziava allora a diffondersi e ad affermarsi l’idea della necessità di passare da una riproduzione artigianale a una tecnica su più ampia scala. In una simile prospettiva, la raccolta di incisioni piranesiane si offriva come un vasto repertorio, una fonte inesauribile di modelli di gusto, con un campo di applicazione che poteva spaziare dall’architettura alle arti applicate .
I figli del celebre incisore riuscirono non solo a cogliere, ma anche a concretizzare le istanze di cui si fece portavoce Landon. Una volta installati a Parigi – prima in rue de l’Université “au dépôt de Machines”, poi, dalla fine del 1801 presso l’antico Collège de Navarre, in rue de la Montagne Sainte Geneviève – Francesco e Pietro Piranesi provvidero a riorganizzare la produzione. Oltre alle serie di incisioni realizzate in linea di continuità con l’opera paterna e raccolte nelle Œuvres de Jean-Baptiste et de François Piranesi, si dedicarono a nuovi progetti, in cui è possibile scorgere un costante tentativo di adeguare i mezzi offerti dall’incisione alle nuove esigenze di mercato. Assistiamo così al passaggio dall’incisione alla produzione dei Dessins coloriés (in collaborazione con altri artisti, italiani e francesi) fino ad arrivare alla creazione della manifattura di Mortefontaine .
La proprietà di Mortefontaine, situata a circa 30 km a nord-est di Parigi, apparteneva dal 1798 a Giuseppe Bonaparte, che l’aveva eletta a luogo di riposo e rifugio dagli impegni politici . Resa pittoresca dai laghi e dalla grande roccia, simile località non mancò di ispirare una fitta schiera di artisti dell’epoca, che le consacrarono numerose descrizioni e vedute. Mortefontaine divenne anche teatro di ricevimenti mondani e di alcuni importanti avvenimenti storici, quale la sigla della pace tra la Repubblica francese e gli Stati Uniti d’America del 3 ottobre 1800, evento celebrato da un’incisione di Francesco Piranesi e Giuseppe Barberi.
Il legame tra il figlio maggiore del celebre incisore e il fratello di Napoleone risaliva al 1797, periodo in cui Giuseppe soggiornò a Roma in qualità di ambasciatore francese, e si consolidò oltralpe all’inizio del XIX secolo. A Mortefontaine, nel 1801, Francesco fece la scoperta di una « terre rouge déliée, forment une pâte compacte propre à recevoir tous les contours et à contracter une grande solidité » . Incoraggiato dallo stesso Giuseppe Bonaparte, fu principalmente Francesco a lanciarsi nella nuova impresa, sebbene tutte le pubblicazioni relative alla manifattura mantengano la consueta formula Piranesi frères. Egli s’indebitò per una cifra considerevole (stimata a più di 130.000 franchi), per fondare una manifattura i cui prodotti possono essere classificati in tre tipologie: la scultura plastica decorativa, i vasi cosiddetti Etruschi e i vasi semplici destinati alla decorazione dei giardini.
Già nel 1802-1803 veniva dato alle stampe il Prospectus des sculptures plastiques, libello pubblicitario in cui i Piranesi annunciavano trionfalmente di essere riusciti a « ressusciter la Plastique des anciens » . Oltre al principale mecenate, Giuseppe Bonaparte, veniva ricordato anche il sostegno fornito dal ministro dell’Interno, Jean-Antoine Chaptal. Chimico, accademico e imprenditore, Chaptal contribuì in maniera determinante allo sviluppo dell’industria francese durante il Consolato. Riferivano i Piranesi come il ministro avesse approvato i primi saggi in terracotta di Mortefontaine, stimandoli « très-propre à reproduire parmi nous, et d’une manière durable, les chefs-d’œuvre de l’art, qui font la gloire de l’antiquité » .
Il campo di applicazione di simili manufatti, nelle intenzioni dei Piranesi, doveva prestarsi alle più svariate destinazioni d’uso, che andavano dalla decorazione degli interni, alle facciate degli edifici, in particolare delle residenze di campagna, di giardini, e persino di monumenti funebri . Tuttavia non ci si limitò alla produzione di articoli di lusso, definiti “de pure décoration”, ma anche di vasi e utensili necessari alla vita quotidiana, “d’une utilité générale” . Certo, non si ignoravano le differenze qualitative rispetto ai prodotti, ben più delicati e raffinati, in porcellana, ma rispetto ad essa i manufatti in terracotta di Mortefontaine presentavano il vantaggio di essere assai meno costosi, nonché a loro volta superiori rispetto alla ceramica comune .
Possiamo avere un’idea dell’ampio ventaglio di oggetti prodotti a Mortefontaine grazie ad un’incisione realizzata dallo stesso Francesco Piranesi nel 1806 . Le opere, ispirate direttamente al repertorio piranesiano – come risulta evidente osservando, in particolare, il trofeo, il sarcofago egizio e i tripodi in primo piano – non solo furono collocate nei giardini che circondavano la fabbrica di Plailly, nei pressi di Mortefontaine, ma anche esibite in occasione della contemporanea Esposizione dei prodotti dell’industria francese, allora in corso sotto i portici dell’Esplanade des Invalides a Parigi .
Appena un anno dopo la partecipazione al prestigioso evento, nel 1807, la partenza di Pietro Piranesi per Roma determinò lo scioglimento della società tra i due fratelli. Francesco rimase di fatto l’unico responsabile delle diverse attività intraprese in Francia. Tuttavia, le spese eccessive e i conseguenti debiti contratti, uniti ad una cattiva gestione contabile, lo portarono presto alla bancarotta.
Nel 1809 il Governo incaricava due commissari, Del Pozzo e Degerando, di analizzare la situazione dell’impresa Piranesi al fine di deciderne il destino. Nel Rapport stilato dai commissari si individuava proprio nella manifattura di Mortefontaine la causa del fallimento economico . Veniva innanzitutto imputato a Francesco di essersi incautamente lanciato nella nuova attività, affrontando spese eccezionali, in un momento in cui la situazione generale delle industrie di beni di lusso in Francia non era affatto favorevole. Passando dal piano generale a quello specifico, i commissari da un lato riconoscevano ai manufatti di Mortefontaine una indiscutibile “beauté des formes”, dall’altro li definivano “presque étrangère aux Beaux-arts”. La loro critica era rivolta non tanto contro il prodotto finale, quanto contro un modo di produzione “in serie”. Ciò che veniva rimproverato al progetto di Piranesi era di peccare contro il gusto, la durata, ma soprattutto, di aver voluto sostituire “la main inspiré du génie par le froid outil du manufacturier”. L’atteggiamento di Del Pozzo e Degerando sembra riflettere la forte reazione “anti-industriale” che allora si opponeva a quella che veniva considerata una volgarizzazione del gusto. Il duro giudizio dei commissari sancì la fine della manifattura, la cui breve esperienza conferma come il passaggio da una produzione artigianale ad una tecnica su più ampia scala si rivelò non privo d’ostacoli.
Nel giudizio negativo espresso dai rappresentanti del governo francese all’inizio del XIX secolo e nel conseguente disinteresse riservato alla storia della manifattura Piranesi da parte della critica moderna, possono essere individuate le principali cause della dispersione dell’eterogena produzione di Mortefontaine.
Grazie agli studi compiuti all’inizio del XX secolo da Paul Marmottan, sappiamo che il patrimonio legato alla proprietà di Mortefontaine, fino ad allora rimasto pressoché intatto nonostante le complesse vicende ereditarie di cui fu protagonista, venne definitivamente disperso in occasione della vendita mobiliare del 1921 . È allo stesso Marmottan che si deve la conoscenza di uno dei rari esemplari finora rintracciati della manifattura Piranesi. Si tratta di un piccolo vaso di forma ovoidale, con coperchio a testa di sfinge e ansa formata da serpenti intrecciati, oggi conservato presso la biblioteca di Boulogne-Billancourt .
Caratteristiche formali assai simili a quelle del piccolo vaso della biblioteca Marmottan si riscontrano nelle descrizioni dei prodotti della manifattura messi in vendita alla morte di Francesco Piranesi, nel 1810. È, ad esempio, il caso della “urne cinéraire à tête de femme”. Nel catalogo di vendita troviamo inoltre menzionati vasi “à tête de Méduse”, o “de lions”, persino “avec prue de galere”, insieme ad altri esemplari che, come il nostro, presentavano anse formate da serpenti intrecciati . Si trattava di una diretta derivazione dal catalogo paterno: dando libero corso all’immaginazione, si faceva sfoggio di un repertorio sterminato di forme provenienti dai contesti più diversi (Egitto, Etruria, Grecia, Roma), che venivano affiancate e fatte dialogare l’una accanto all’altra. Tra i prodotti della manifattura rappresentati a scopo promozionale da Francesco solo pochi anni prima, ve ne sono molti che richiamano da vicino quelli messi in vendita nel 1810, come la “colonne rostrale sur piédestal”, o il “Trépied supporté par des Cariatides ailées, portant des couronnes”.
Nel catalogo di opere ascrivibili alla manifattura, un altro importante capitolo riguarda le committenze da parte della famiglia imperiale. Nei documenti d’archivio si fa menzione a ordini di “vases étrusques, vases avec bas-reliefs, casses à fleurs en terre, avec bas-reliefs et candélabres en terre cuite, ornés des bas-reliefs” per le residenze di Compiègne e Versailles .
Sfortunatamente, nessuna delle opere menzionate è stata finora rintracciata. Tuttavia, le tracce documentarie relative alle commissioni della famiglia imperiale, così come il lungo elenco di oggetti messi in vendita in seguito alla morte di Francesco Piranesi, lasciano supporre che, oltre al vaso della biblioteca Marmottan, possano essere sopravvissuti altri esemplari della produzione di Mortefontaine, nonostante la particolare fragilità della terracotta.
Vi è, infine, un’ultima questione che, insieme alla dispersione dei manufatti, contribuisce a rendere particolarmente complessa l’indagine sulla manifattura di Mortefontaine: la frammentarietà e l’ambiguità delle indicazioni tramandateci dalle fonti riguardo agli scultori che vi avrebbero partecipato. Se la collaborazione di Claude Michel Clodion, annunciata con enfasi nei documenti riferibili al periodo 1802-1803, non risulta confortata da ulteriori prove, l’analisi delle testimonianze coeve mi ha portato, invece, ad avanzare l’ipotesi di un contributo di Camillo Pacetti al catalogo della manifattura di Mortefontaine . L’ipotesi, supportata dal confronto con un gruppo di opere rimaste a lungo prive di una specifica contestualizzazione all’interno degli studi dedicati allo scultore romano, costituisce un elemento ancor più significativo dal momento che Camillo Pacetti, alla fine del XVIII secolo, collaborò ad un’altra, ben più fortunata, impresa: la manifattura di ceramiche ispirate all’antichità creata in Inghilterra da Wedgwood .
Concludo con l’auspicio che ai numerosi riscontri documentari possa corrispondere in futuro un maggior numero di opere identificate dell’eterogenea produzione della manifattura di Mortefontaine, confidando, a tal fine, nell’importanza di nuove modalità di scambio e circolazione di conoscenze offerte da progetti come questo.