Giovanna Scaloni Curatrice della mostra Giambattista Piranesi. Sognare il sogno impossibile. Storica dell’arte. Istituto centrale per la grafica
Le sei matrici che compongono la grande Ichnographia di Piranesi sono conservate nella Calcoteca dell’Istituto centrale per la grafica (inv. 1400_425, 426, 427, 428, 429, 430), insieme alle altre dell’intero Fondo Piranesi. Le incisioni della Pianta del Campo Marzio dovevano essere già pronte per la stampa nel 1757, anno che compare inciso nel medaglione presente sulla matrice della dedica all’amico architetto scozzese Robert Adam .
L’idea iniziale di Piranesi era pubblicare solo una Pianta con un testo esplicativo come introduzione; un prodotto agile, che avrebbe avuto una diffusione capillare anche tra i viaggiatori eruditi e gli editori stranieri. Poco tempo dopo questo progetto fu abbandonato a favore di un’opera in volume ben più complessa sul Campo Marzio, la cui edizione definitiva uscì cinque anni dopo, nel 1762.
La Pianta del Campo Marzio incisa da Piranesi simula una rappresentazione icnografica delineata su una grande lastra di marmo, della quale ripropone anche le fratture, ancorata a una parete con grappe metalliche (Fig. 1), proprio come doveva apparire anticamente la Forma Urbis Severiana, il primo dei riferimenti da cui l’autore trae spunto.
I reperti della Forma Urbis, pianta di Roma incisa su 150 lastre di pietra sotto l’impero di Settimio Severo (203-211), collocata al tempo su una parete del Tempio della Pace, iniziarono a venire alla luce nel 1562 e – dopo anni di permanenza a Palazzo Farnese - furono al fine collocati per volontà di Papa Benedetto XIV nel 1742 nel Palazzo Nuovo in Campidoglio, murati sulle pareti dello scalone del Museo Capitolino, dove il giovane Piranesi ebbe modo di studiarli. Per la sistemazione dei frammenti in Campidoglio fu impiegato il geometra Giambattista Nolli con il quale Piranesi, da poco arrivato a Roma, aveva lavorato ai rilievi esatti del territorio dell’Urbe, con tutti gli edifici moderni che spesso si sovrapponevano ai monumenti antichi, costruendosi in tal modo un suo personale bagaglio di conoscenze sulla topografia romana, e muovendo i primi passi verso un nuovo metodo di indagine archeologica, del quale qualche anno più avanti sarebbe stato sostenitore. I risultati di queste ricerche condotte sul campo sarebbero stati resi noti da Nolli con la pubblicazione della Nuova Pianta di Roma nel 1748, che rispondeva alla concreta esigenza di costruire, sulla scorta di un pensiero urbanistico di matrice illuminista, un corredo documentario amministrativo per la gestione della Roma settecentesca. La Pianta di Nolli costituisce il secondo imprescindibile riferimento di Piranesi per la sua opera sul Campo Marzio.
Tuttavia il lavoro sul Campo Marzio non può prescindere dalla più importante impresa che Piranesi portò avanti nella sua vita, ossia i quattro tomi delle Antichità Romane del 1756, con la Pianta di Roma dove Piranesi si proponeva di documentare solo ciò che restava della città antica. Sempre nelle “Antichità” Piranesi aveva pubblicato la pianta degli acquedotti romani (inv. 1400_39, inv. 1400_40), e proprio nella Spiegazione della Tavola degli acquedotti annunciava ai suoi lettori che avrebbe a breve dato alla luce “…una gran Pianta icnografica dell’antica Roma ...”, alludendo appunto alla Pianta del Campo Marzio, da cui si evince che l’autore stava portando avanti i due progetti parallelamente.
L’Icnografia del Campo Marzio è una pianta a proiezione verticale, con le indicazioni dei rilievi orografici, orientata a Nord-Ovest, sintesi critica di credibilità scientifica e pensiero visionario, comune denominatore di tutta la produzione incisa dell’autore. Muovendo dalla fase analitica condotta nelle Antichità Romane, dove aveva studiato dal vero le emergenze architettoniche e i resti del passato, Piranesi approda qui a una visione sintetica e magmatica dello schema urbanistico romano. Forme geometriche tipologiche, fittamente incastrate tra loro e incastonate in una trama serrata, come “modelli ideali” destinati a divenire “moduli” per gli architetti dell’Età Moderna e per la progettazione dell’Utopia, da Boullée e Ledoux ai nostri giorni. Una città nella città, che sotto l’impero di Augusto viene ripensata come centro monumentale, in alternativa al centro della vita urbana rappresentato dal Foro e dal Palatino, dove si svolgevano riti solenni, non più solo esercizi militari e battaglie navali, ma anche cerimonie funebri per deificare gli avi illustri. Si noti in questo senso l’importanza conferita da Piranesi ai Busti di Cesare Augusto e di Adriano che occupano le aree più ampie del Campo. Teatri, circhi, templi, portici, fori, naumachie si affastellano, laddove è assente ogni riferimento a un probabile tessuto viario che ne rendesse verosimilmente percorribile il tracciato, e dove non esiste un asse o una direttrice perché, come diceva Borsi, “Ciascuno di questi grandi recinti compositivi […] presenta un proprio asse fondante di simmetria”.
Da un punto di vista tecnico le matrici sono realizzate ad acquaforte con alcuni interventi a bulino, finalizzati a definire e precisare graficamente i dettagli, a partire come sempre da un disegno preparatorio riportato sulle sei lastre per procedere all’incisione. A questa data Piranesi aveva maturato una notevole esperienza nell’arte dell’incisione, che gli consentiva di padroneggiare acidi e vernici per l’acquaforte, e adoperare il bulino per l’approfondimento di particolari intagli. Sul finire degli anni Cinquanta egli approderà infatti al pieno controllo del risultato in stampa dei suoi lavori su rame.
È proprio sulle matrici che possiamo riscontrare, prima ancora che sulla carta, la lenta e difficoltosa elaborazione della composizione. Nel procedere delle investigazioni sul campo, e di conseguenza delle ipotesi ricostruttive di quello che idealmente poteva essere stato il tessuto urbanistico antico, soprattutto nelle zone del centro da cui ebbe origine la città (Campidoglio, Foro, Palatino), Piranesi corregge, migliora, si approssima, e infine consegna ai torchi una rappresentazione che porta ancora oggi i segni del suo farsi.
Sulle matrici di Piranesi l’Istituto centrale per la grafica ha intrapreso un progetto di restauro, catalogazione e studio comparativo, prediligendo una lettura analitica del segno inciso sul rame, anche attraverso l’impiego di moderne tecnologie di indagine. L’approccio eminentemente tecnico alla lastra calcografica restituisce un’idea esaustiva del percorso metodologico seguito dall’artista per arrivare alla stampa quale momento di epifania del progetto grafico, rivelando l’origine della composizione, gli eventuali pentimenti, gli accorgimenti tecnico-stilistici che hanno fatto di Piranesi uno dei più importanti incisori di tutti i tempi.
Tra i dati più interessanti che emergono da questo lavoro devono essere ricordate senza dubbio le incisioni rilevate sui versi delle matrici (sul rovescio del rame).
È infatti ricorrente tra le matrici del fondo Piranesi (ma non solo: nella Calcoteca tante sono le lastre impiegate dagli incisori su entrambe le facce), che il rame sia inciso anche sul verso con figurazioni, in particolar modo sulle matrici delle serie composte dal veneziano verso la metà degli anni Cinquanta: le Antichità Romane, ma anche - di lì a pochi anni – la “Magnificenza ed Architettura de’ Romani”. La maggior parte dei rovesci incisi ha soggetti correlati all’architettura: si evidenziano planimetrie, alzati e sezioni di edifici, anche in prospettiva, con blocchi spaziali semplificati; elementi modulari dell’architettura, capitelli, basi, colonne, portali con arcate e conci; motivi ornamentali di trabeazioni, fregi e cornici; materiali e tecniche costruttive delle murature e pavimentazioni antiche.
Rimane ancora problematica la questione relativa all’attribuzione dei tracciati incisi a secco sui versi delle matrici piranesiane, sempre in un momento successivo all’incisione del recto, come si può desumere dall’analisi tecnica delle corrosioni sul rame. E altresì discussa la conseguente collocazione temporale degli stessi: l’ipotesi più probabile è che siano da attribuire a collaboratori di bottega, che impiegavano il rame sul verso per esercitazioni e prove grafiche, sia al tempo di Giovan Battista, sia al tempo di Francesco, quando i rami erano passati alla Calcografia dei Fratelli Piranesi. Ciò che è più interessante però è il metodo operativo della bottega, istruita ed educata allo studio e alla riflessione costante sull’architettura. Gli elementi e le forme che riemergono dal rovescio di molti rami recentemente restaurati testimoniano la dimestichezza e la quotidianità di approccio di Piranesi e dei suoi collaboratori con prototipi architettonici, da riferire non solo al glorioso passato di Roma, che riemergeva dalle campagne di scavo, ma anche alla trattatistica moderna sull’architettura edita tra Cinquecento e Seicento, le cui tavole illustrate sicuramente circolavano nell’opificio piranesiano. Sono state in diverse occasioni ricordate, e puntualmente citate, dalla letteratura critica sull’opera piranesiana le strette correlazioni tra i moduli planimetrici proposti da Piranesi nella Pianta del Campo Marzio e i disegni di Giovanni Battista Montano
, pubblicati per la prima volta a stampa dal suo discepolo Giovan Battista Soria. Proprio la presenza delle matrici del trattato di Montano (Fig. 2) nella Calcoteca dell’Istituto centrale per la grafica ha consentito a questa ricerca di compiere un ulteriore passo avanti sulla strada dei versi delle lastre incisi: alcune matrici delle Antichità Romane, alle quali è noto Piranesi lavorava nella prima metà degli anni Cinquanta, hanno delineate sul loro rovescio piante di edifici (già notate a suo tempo da Monferini e più di recente da Salinitro) che è stato ora possibile ricondurre senza dubbio al lavoro di Montano. Attraverso un confronto diretto tra i tracciati delle piante incisi a puntasecca sui versi delle matrici di alcune tavole delle Antichità Romane (Figg. 3a-e)
e le incisioni a bulino delle tavole del trattato si è potuta verificare la precisa corrispondenza delle forme e la perfetta sovrapponibilità dei segni (Figg. 4a-c).
Emerge una dimostrazione concreta dello studio e delle applicazioni di Piranesi e dei suoi collaboratori in quegli anni nella bottega, con le stampe di Montano a disposizione . Subito dopo aver inciso le tavole per l’edizione delle Antichità Romane si impiegavano i rovesci delle stesse matrici per riflessioni grafiche, prove esecutive dei tracciati, puntualmente riportati sulla superficie grezza della lastra di rame battuta, a partire dalla stampa del trattato di Montano, secondo il tradizionale metodo di trasporto del disegno sul rame (Figg. 5a-b).
Nel laboratorio piranesiano si ragionava pertanto sui templi proposti da Montano come ipotesi ricostruttive (anche di fantasia) degli edifici antichi che adornavano Roma (Figg. 6a-e)
Fig. 6c - Verso della matrice Sezione di uno de’ Cunei del Teatro di Marcello corrispondente colle vie de’ Senatori, da Le Antichità Romane, 1756, Tomo IV, Tav. XXIX, particolare. L’elaborazione grafica isola una delle cinque planimetrie tracciate a puntasecca sul verso della matrice de Le Antichità Romane, riconducibile con esattezza alla stampa del trattato da disegni di G. B. Montano Antico Sepolcro nella Via Latina dalle cui ruine si cavarono molte Urne, dal libro Scielta di Varii Tempietti Antichi con le Piante et Alzatte, Desegnati in Prospettiva da Gio. Batta. Montano Milanese, Tav. 22 nell’ultima edizione della Calcografia (matrice inv. 1398_22, stampa inv. CL2271_6913).
Con la punta d’acciaio e con l’ausilio di strumenti quali righe, squadre e compassi si graffiava il rame, ricostruendo il disegno delle piante sul metallo (Fig. 7).
È importante precisare che l’esercitazione su quei soggetti, sui quali Piranesi rifletteva già alla fine degli anni Quaranta e primi Cinquanta, non era finalizzata alla stampa, poiché i tracciati sono delineati sopra la superficie martellata del rame, non preparata per l’incisione. Piuttosto tale pratica tecnica, che si configura di fatto come un’operazione di trasporto del disegno, consentiva a Piranesi e ai suoi collaboratori di appropriarsi - attraverso la ripetizione meccanica di un sistema di segni - di un’idea grafica, che convergerà nel concepimento dei disegni preparatori per le tavole dell’Ichnographia, cui Piranesi lavorava nello stesso arco di tempo (Figg. 8a-e). Le planimetrie sui versi costituiscono dunque un allenamento/addestramento teso a provare la possibilità della loro applicazione e resa sulle lastre. Queste evidenze dimostrano che il trattato con i disegni di Montano abbia rappresentato una fonte diretta per l’elaborazione dei moduli della grande Pianta del Campo Marzio.
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