Le Carceri rappresentano un’importante testimonianza dell’evoluzione della tecnica incisoria piranesiana. Pubblicate per la prima volta nel 1749/50 con il titolo Invenzioni Capric di Carceri all’acqua forte, le tavole furono rielaborate da Piranesi e riedite con il nuovo nome di Carceri d’invenzione nel 1761. Le 14 tavole dell’edizione bionda, che ancora risente dell’influenza veneziana, sono contraddistinte da una grande libertà di segno e dai toni chiari della singola morsura. Le variazioni tonali sono affidate all’addensamento o rarefazione dei segni, all’uso sporadico del bulino e di un acido che si rivela essere troppo violento. Nel corso di circa dieci anni l’incisore procede verso una versione oscura, rielaborando le prime tavole e aggiungendone altre due. Per arrivare a questa versione definitiva Piranesi ha dovuto preparare nuovamente con la vernice acido-resistente le lastre già incise e ha aggiunto nuovi tracciati. L'effetto finale è affidato alla combinazione dell’uso di diversi tipi di punte, che conferiscono variazioni alla larghezza e profondità dei segni, con un particolare acido composito di sua formulazione e la tecnica delle morsure multiple per modulare la profondità dei segni. Laddove poi l’acido non poteva raggiungere l’incavo desiderato, perché avrebbe distrutto, corrodendoli, i tracciati più ravvicinati, diventava indispensabile l’intervento diretto con uno strumento d’acciaio: accanto al consueto bulino dell’arte incisoria, egli affianca un altro strumento mutuato dalla lavorazione della statuaria in bronzo. Si tratta del cesello profilatore che, avanzando nel metallo per percussione, genera solchi profondi caratterizzati dalle tacche d’avanzamento dell’incisione. Le Carceri che oggi vediamo, poi, sono frutto di ulteriori interventi a tecnica diretta volti a scurire alcuni dettagli localizzati ed eseguiti ancora sotto Piranesi, oltre all’aggiunta dei numeri di tavola. L’incisione del numero arabo è avvenuta a seguito dell’inventariazione dopo l’arrivo in Calcografia, nel 1838.
Alla rielaborazione tecnica delle Carceri corrispondono variazioni morfologiche degli spazi più o meno marcate e l’introduzione di nuovi elementi legati al tema della tortura. Una elaborazione grafica digitale di sovrapposizione in falsi colori agevola la comprensione dell’intervento più o meno invasivo operato da Piranesi nella seconda edizione. Associando una tonalità blu alle stampe della prima edizione e rossa a quelle della seconda, attraverso tecniche di modifica digitale, le due immagini sono state sovrapposte per ottenere una figura di sintesi (figg. 1 a-b-c). Tale rappresentazione evidenzia in rosso gli elementi che Piranesi ha aggiunto nella seconda versione, siano essi nuove forme o nuovi tratti di caratterizzazione delle forme già esistenti (ad esempio, l’accentuazione delle ombre), mentre in blu risultano gli elementi che erano presenti nella prima edizione e sono stati successivamente rimossi attraverso l’abrasione del rame.
Per l’esposizione sono state scelte quattro matrici (frontespizio, II, IX e XVI) (figg. 2 a-b-c-d), corredate dalle rispettive stampe di prima edizione (fac-simile degli esemplari del The Cleveland Museum of Art) (figg. 3 a-b-c), ove presenti, e di seconda edizione (originali del Fondo Corsini ICG) (figg. 4 a-b-c-d). Ciascuna tavola selezionata presenta delle particolarità che si è ritenuto interessante mostrare nel contesto della sezione espositiva legata alla tecnica incisoria di Piranesi. Nel frontespizio la rielaborazione ha interessato solo determinate aree della tavola, per cui è ancora possibile apprezzare sia i tratteggi della prima versione che le aggiunte della seconda. La tavola IX è stata quella meno rielaborata; per questo motivo rappresenta un ottimo esempio per osservare il segno piranesiano del primo periodo. La tavola XVI, al contrario, è una di quelle più rimaneggiate, tanto che lo spazio architettonico rappresentato ha subito una metamorfosi molto evidente, ottenuta tecnicamente, oltre che per aggiunta di segni, anche tramite abrasione di tutta l’area centrale dell’inciso, seguita dalla brunitura della superficie e dalla nuova incisione. La tavola II, invece, è una delle due tavole aggiunte, che quindi non erano presenti nella prima edizione della serie, e perciò mostra soltanto il segno più maturo dell’autore.
Lo studio dei beni culturali può giovarsi dell’applicazione delle tecniche di digital imaging, tra le quali quella denominata Reflectance Transformation Imaging (RTI). Il video, presente anche in mostra, approfondisce tale tecnica, che è stata sperimentata per la prima volta in ambito calcografico sulla serie delle Carceri con incoraggianti risultati. La tecnica RTI registra la variazione di riflettanza degli oggetti sottoposti a diverse condizioni di luce. Si tratta di una tecnica di fotografia computazionale che cattura la morfologia implicita e il colore apparente di un oggetto, permettendo la successiva re-illuminazione interattiva dell’immagine digitale che lo rappresenta. Durante l’acquisizione la fotocamera rimane fissa ed esegue una serie di scatti con la sorgente luminosa che di volta in volta viene spostata seguendo una traiettoria emisferica, in modo che le posizioni della luce siano distribuite il più uniformemente possibile e che abbiano tutte la stessa distanza dall’oggetto. L’algoritmo di elaborazione dei dati, tramite il riflesso speculare della sorgente luminosa su di una sfera lucida posizionata vicino alla matrice, interpreta la direzione dell’illuminazione associata ad ogni scatto ed elabora i dati in modo che sia possibile “re-illuminare” i pixel dell’immagine in tempo reale in base alla direzione della luce impostata dinamicamente dall’utente.
Immagine RTI Istruzioni
I risultati ottenuti permettono lo studio del segno inciso attraverso il controllo dell’incidenza della luce e permettono di osservare le modalità operative con le quali i segni sono stati tracciati (ad esempio acquaforte o bulino), oltre che interpretarne la sequenza, con il vantaggio di poter operare da remoto senza più spostare le matrici dai locali conservativi una volta fatta l’acquisizione iniziale. Inoltre, alcuni tipi di visualizzazione disponibili conferiscono risalto alla morfologia delle tracce incise. Un esempio è l’enfatizzazione della specularità, che permette di controllare l’intensità e l’ampiezza del riflesso speculare che deriva dalla forma superficiale dell’oggetto e dalla direzione della luce. L’effetto che se ne ricava è di una superficie molto lucida ed è particolarmente valido nello studio delle matrici poiché accentua ancora di più i micro-rilievi. Un’altra visualizzazione utile è quella che mostra l’orientamento della superficie dell’oggetto per ogni pixel. Il risultato è un’immagine in falsi colori che permette una lettura chiara della morfologia dell’oggetto e che non dipende dall’illuminazione.
La tecnica RTI è stata sperimentata su alcune matrici in mostra: il frontespizio, la tavola II e la tavola XVI. Dalle immagini RTI prodotte è possibile osservare alcune caratteristiche della tecnica incisoria piranesiana. Ad esempio, è possibile apprezzare le differenze del tipo di tratteggio tra le due edizioni della serie, quello libero della prima versione e quello più regolare e strutturato della seconda (figg. 5 a-b-c-d-e-f-g-h-i). Si può individuare l’utilizzo di punte coniche, oltre che la caratteristica punta piatta, del bulino e del cesello profilatore, nonché i limiti delle pennellate di vernice di riserva per la morsura multipla (figg. 6 a-b). È possibile riscontrare alcuni fallimenti tecnici in cui Piranesi si imbatte sperimentando la scioltezza del fare veneziano: talvolta l’acido troppo violento ha provocato la corrosione della parte di metallo compresa tra due segni molto vicini (figg. 7 a-b). Si osservano gli indizi lasciati dalla rimozione dei segni della prima edizione durante la rielaborazione: alcuni avvallamenti del rame sono causati dall’abbassamento della superficie metallica con il raschietto, necessaria per eliminare l’incisione precedente (figg. 8 a-b). E molto altro.
La tecnica RTI trova dunque nell’ambito calcografico un’interessante applicazione, ponendosi come supporto allo studio delle matrici, oltre che alla loro valorizzazione. La facilità di indagine della superficie e la possibilità di salvare l’immagine con l’illuminazione che si ritiene più idonea consentono allo studioso di individuare le particolarità d’interesse lavorando solo al computer. Nel caso specifico della sua applicazione sulle Carceri di Piranesi, essa risulta a sua volta valorizzata dalla peculiarità dei rami, in cui la tecnica dell’incisione diretta, affiancata all’iniziale acquaforte, accentua la profondità dei volumi e conferisce alle matrici un aspetto scultoreo.
La sezione della mostra dedicata alla tecnica incisoria piranesiana è stata realizzata nell’ambito di una convenzione di collaborazione scientifica tra l’Istituto centrale per la grafica (responsabili scientifici: Maria Cristina Misiti, Giovanna Scaloni, Lucia Ghedin) e il Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura, Sapienza Università di Roma (responsabili scientifici: Laura Carnevali, Marco Fasolo, Leonardo Baglioni). Le elaborazioni grafiche di sovrapposizione tra le due versioni delle Carceri e l’applicazione della tecnica RTI sono tratte dalla tesi di dottorato di Sofia Menconero.