Voglio vedere la Roma che dura, non quella che trascorre ad ogni decennio.
J. W. Goethe
E
siste un legame fondamentale che collega la riflessione e lo studio di Giambattista Piranesi sulle antichità classiche e la complessa disciplina della conservazione e della tutela del patrimonio storico artistico italiano.
In linea ascendente è indubbiamente la Lettera a Leone X di Raffaello, forse nota a Piranesi (era stata edita per la prima volta, come opera di Baldassar Castiglione, nel 1733 a Padova, da un manoscritto appartenuto a Scipione Maffei) a costellare il riferimento fondamentale, con il suo programma di documentazione dell’antico attraverso il rilievo sistematico dell’Urbe, anche nelle successive riprese di Pirro Ligorio, Etienne Du Pérac, Cassiano dal Pozzo, per arrivare alla Nuova Pianta di Roma di Giovan Battista Nolli. In linea discendente, Piranesi appartiene a un secolo che attraverso una serie di grandi cambiamenti per la storia italiana ed europea, vedrà avverarsi attraverso le “soppressioni”, la Rivoluzione Francese e le conseguenti requisizioni napoleoniche, un cambiamento radicale che interromperà la fase di continuità di accumulo delle opere d’arte negli stessi insediamenti, religiosi o aristocratici, con conseguenze decisive sulla conservazione del nostro patrimonio artistico .
Infatti, solo a partire dal secolo XVIII, in ambito illuminista, si potrà parlare in termini concreti di normative, ancorchè non sistematiche, di tutela e di salvaguardia dei beni.
In particolare, la moda del Grand Tour in Italia, che andava diffondendosi tra una élite nord europea desiderosa di completare la formazione attraverso la conoscenza diretta delle vestigia del passato e delle bellezze naturali, portò all’acquisto, da parte di agenti e viaggiatori, di intere collezioni che confluirono in raccolte private all’estero .
È in questa temperie culturale che Piranesi può aver maturato quella consapevolezza filologica e pre-archeologica che lo porterà all’elaborazione delle Antichità Romane, un processo alla cui origine è la cultura illuministica, con la sua esigenza di ricondurre a unità gli interventi sulla società, e, in secondo luogo, il clima neoclassico che inaugura un nuovo modo di concepire l’arte e fa dell’antico il modello culturale ed estetico a cui il presente deve richiamarsi.
In prospettiva storica, questa nuova consapevolezza, che sottende alla rielaborazione del firmamento di decreti e provvedimenti fino ad allora prodotti, culminerà con l’Editto del Cardinal Doria del 1802, compilato sulla base di un Chirografo di Pio VII Chiaramonti, del medesimo anno .
Quando si stabilisce a Roma, per la prima volta nel 1740, Piranesi abita una città dove la grande circolazione di uomini, idee e opere ha però un risvolto oscuro, presto percepito dalla Curia: uno sconsiderato saccheggio perpetrato dai viaggiatori meno rispettosi ai danni delle opere d’arte antica, per farne cimeli e ricordi del viaggio di formazione, o per incrementare, soprattutto in ambito anglosassone, la propria passione antiquaria .
S’imporrà, via via, quel criterio di conservazione preventiva, fondato sulla conoscenza accurata dei beni e sulla compilazione di elenchi, che già con Canova, ispettore generale delle Belle Arti e prefetto delle Antichità, poi incaricato della preziosa azione di recupera dopo le spoliazioni napoleoniche, si era rivelato fondamentale.
Soltanto nel 1820, con l'Editto del cardinal Pacca, vedrà la luce la prima, organica sistemazione giuridica relativa alla tutela dei beni culturali.
Nella prima metà del Settecento, quando l’artista arriva nella città eterna, il processo di trasformazione è già in atto: la ricerca sui monumenti antichi si andava strutturando in modo sistematico, grazie a un entourage di eruditi, antiquari e collezionisti sempre in contatto epistolare con i loro omologhi europei, in quello scambio intellettuale e cosmopolita che sarà una delle espressioni più vitali del secolo dei lumi .
L’orientamento della ricerca, sempre più focalizzato sull’indagine diretta, condotta sugli scavi e quindi a contatto con le opere, è una ridefinizione del profilo dell’antiquario, nella nuova concezione di una figura che precede in modo lungimirante la moderna disciplina dell’archeologia.
Piranesi entra in relazione con questa société savante, attraverso l’Abate Giovanni Gaetano Bottari, prima bibliotecario dei principi Corsini e, successivamente, con papa Benedetto XIV, della Biblioteca Apostolica Vaticana; conosce Bottari nel 1743, tramite il sacerdote oratoriano Giuseppe Bianchini , e cinque anni più tardi gli dedica Le Antichità Romane de’ tempi della Repubblica, con parole che testimoniano la sua adesione più profonda all’impostazione bottariana: «nella vastità di una profonda e sublime letteratura gran conoscitore Voi siate di questi studi ai quali in qualche modo io servo; o gl’inosservati e nascosti monumenti alla vista d’ogn’u*no mettendo, o i palesi e chiari alle forestiere nazioni tramandando».
Come è stato evidenziato nell’esaustivo approfondimento sulle matrici piranesiane conservate all’ Istituto centrale per la grafica , esiste tra l’erudito e l’artista una impostazione condivisa, e l’idea che le stampe costituiscano uno strumento imprescindibile non solo per lo studio, ma anche per la tutela dei monumenti, principio che l’Abate aveva espresso ampiamente nei suoi precedenti scritti.
L’importanza di questo legame è da individuarsi anche in relazione ai contatti che Bottari favorisce con il circolo della potente famiglia fiorentina dei principi Corsini: un dato non secondario è inoltre l’influenza esercitata dal monsignore sulla direzione della Calcografia della Camera Apostolica, fondata nel 1738 da Clemente XII. La vicenda legata all’istituzione della Calcografia Camerale a seguito dell’acquisto dei rami della stamperia De Rossi che stavano per essere ceduti sul mercato antiquariale ed esportati in Inghilterra, costituisce un sorprendente esercizio ante litteram del diritto di prelazione. L’azione pontificia, oltre a esercitare una tutela sulle matrici in quanto bene artistico, si configura come l’espressione di una grande consapevolezza circa il ruolo culturale rivestito dalla possibilità di stampare multipli. Il chirografo papale, che è l’atto di fondazione della Calcografia Camerale, sancisce al contempo il riconoscimento ufficiale della funzione documentaria delle stampe, che proprio in quegli stessi anni Bottari andava teorizzando .
Una interessante testimonianza di questo contesto culturale, che segnerà in modo importante la storia della conservazione e la nascente disciplina dell’archeologia, è da individuarsi nei due volumi rilegati appartenenti alle collezioni dell’Istituto centrale per la grafica , oggetto del presente studio. Di entrambi si pubblica in catalogo una scheda codicologica.
Un esemplare de Le Antichità Romane de’ tempi della Repubblica e de’ primi Imperatori, ripubblicata alcuni anni più tardi con il titolo: Alcune vedute d’archi trionfali ed altri monumenti innalzati da Romani, parte di quali si veggono in Roma e parte per l’Italia è conservato nelle collezioni dell’Istituto. Il volume, fondo Corsini 51 H 20, in vitello color nocciola, presenta una legatura alle armi con al centro dello specchio uno stemma vescovile .
Il decoro impresso in oro corre lungo il perimetro dei quadranti ed è composto da una cornice à dentelles, doppio filetto e, internamente a questi, un decoro a palmette e motivi fitomorfi stilizzati, affiancato da una decorazione fitomorfa impressa a roulette. All’interno dello specchio della cornice, sono presenti quattro angolari in oro impressi con un ferro dal motivo stilizzato a corolla, contornato da foglie d’acanto e sormontato da due piccoli fiori.
Lo specchio è libero ad eccezione dello stemma vescovile, anch’esso impresso in oro. Il dorso è lievemente arrotondato, a cinque nervi singoli. I sei compartimenti esibiscono un motivo impresso in oro simile a quello degli angolari, inserito tra due motivi à dentelles e doppio filetto. Il taglio del volume è decorato a spruzzo con pigmento rosso (minio?), mentre i capitelli non sono originali, ma di tipo industriale, in cordonetto di cotone marrone ed écru .
Nello stupendo cartiglio nel frontespizio della prima edizione, composto di una conchiglia, libri e un flauto di Pan, si legge il nome del più noto protettore dell’artista, a cui l’opera è dedicata: Al illmo e revmo Sig. Monsig. Giovanni Bottari, Cappellano segreto di N. S. Benedetto XIV, uno de’ custodi della Biblioteca Vaticana, canonico di Santa Maria in Trastevere. La dedica è conservata nella seconda edizione e datata 17 luglio 1748. La prima parte è riservata ai monumenti di Roma, la seconda alle antichità del resto d’Italia. Due tavole sono copie da Israël Silvestre.
La sequenza degli Archi Trionfali che segue il frontespizio, è, secondo Focillon, in stretta relazione con il disegno, con la rapida e allo stesso tempo analitica annotazione che l’artista eseguiva sul luogo, anche per quanto riguarda le dimensioni, che si accordano con le misure ordinarie di una cartella di schizzi, ipotizzando dunque che Piranesi si sia limitato, in questo caso, a ricalcare i propri ricordi di viaggio : «Comunque, sin da allora, alla punta condotta liberamente sul rame e sfociante in un sistema di tacche fresche e vivaci, a sostegno e cornice delle parti tracciate con la riga, Piranesi affida il colore e la fermezza dei suoi ‘disegni all’acquaforte’».
Gli Archi Trionfali si aprono con una composizione elegante e semplice che utilizza direttamente gli accessori convenzionali dell’antica pastorale secondo l’interpretazione in voga nel Settecento. Vi si riconoscono i pampini e la siringa dei pastori di Sicilia, dalle canne tenute insieme da un nastro.
Lo svolgersi delle acqueforti, come è stato notato altrove, costituisce un insieme incandescente e polisemico che si offre a una lettura su piani diversi: dagli elementi veneti, Canaletto e Tiepolo, che sono stati ravvisati nell’andamento dei segni, nella freschezza e libertà di una punta «libera e cangiante», alla cultura del vedutismo di Pannini, alla componente scenografica bibienesca, alle esperienze ottico-prospettiche che inducono Focillon a notare come in alcuni degli archi rappresentati Piranesi metta il punto di vista prospettico molto vicino al terreno, come se l’incisore avesse riguardato il monumento dal basso, riverso, con la pancia a terra, un artificio che, in ragione delle piccole dimensioni del foglio, doveva conferire monumentalità alla composizione.
Il Campo Marzio dell’antica Roma (1762), in stretta relazione con la monumentale opera delle Antichità romane e presente anch’esso nel Fondo Corsini depositato in Istituto, mostra una legatura in mezza pelle, costituita da cuoio rosso e carta decorata con un motivo decorativo xilografico in rosa e rosso, incollato su una carta verde, ascrivibile alla legatura precedente. Il dorso presenta sei nervi in spago, rilevati e sette scomparti, nel secondo dei quali è alloggiata l’etichetta in carta recante la segnatura: 52 K 22. Il margine della carta di guardia anteriore incollata al quadrante è completamente coperto da una nuova carta, eccetto una “finestratura” che lascia scoperta la segnatura interna vergata a inchiostro metallo-gallico. Alcune carte sottili sono cucite in sopraggitto, a protezione delle stampe. Le stampe di grande formato, costituite di più tavole assemblate, sono ripiegate, per far sì che rientrino nel corpo delle carte. Sono presenti brachette di compensazione.
Il volume, seppure rimaneggiato e con una nuova legatura, diversa rispetto all’originale, probabilmente eseguita tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX, durante la fase di passaggio dalla Biblioteca Corsiniana al deposito permanente presso il nascente Gabinetto Nazionale delle Stampe, costituisce comunque un’importante testimonianza delle opere piranesiane nella collezione Corsini, in quanto le impressioni a stampa sono precedenti alla tiratura eseguita in Francia da Firmin Didot . Il riconosciuto valore artistico delle tavole, oltre che storico e documentario, da parte della commissione incaricata della ricognizione e dell’inventario al fine del trasferimento delle opere, è attestato dal fatto che nonostante nella convenzione stipulata fra l’Accademia Nazionale dei Lincei e il Ministero dell’Istruzione Pubblica, all’articolo 3 si specificasse che avrebbero fatto parte della lista dei volumi da consegnare: «i volumi illustrati con incisioni, quelli eccettuati che trattano d’arte ex professo, quali sono le descrizioni di pinacoteche o musei artistici. Non saranno pure comprese nella consegna le carte geografiche, le piante topografiche e iconografiche, i libri che trattano d’archeologia e di architettura e di quanto ha di preferenza carattere scientifico e letterario» il volume figura tra quelli prescelti per il passaggio alla nascente Istituzione .
Si tratta di un’opera tra le più complesse della produzione artistica piranesiana, ed è la testimonianza della maturazione da parte dell’autore di una determinata posizione teorica che tende a oltrepassare la nota querelle sull’arte greco-romana.
L’immagine “parziale” dell’urbe che Piranesi restituisce rappresenta di fatto un vero e proprio manifesto grafico avente valore di metafora. L’area del Campo di Marte diviene il luogo dove mettere idealmente in scena le spinte antitetiche: la resistenza della tradizione e l’impulso all’innovazione.
Una sorta di antiporta della modernità, un paradigma per tutti quegli architetti che come il maestro veneziano, hanno saputo guardare al futuro con gli occhi rivolti verso il passato.
Anche se è impossibile determinare con precisione la fonte di elementi tratti da monumenti incessantemente copiati fin dal Rinascimento, è incontestabile che l’opera di Piranesi abbia spinto gli architetti a rinnovare la loro ispirazione, come d’altra parte le Vedute, diffuse in tutta Europa, stimolavano negli amatori il desiderio del viaggio a Roma .
Piranesi condensa quindi nella sua figura l’archeologo e l’artista, conferendo ai risultati di questo processo una qualità suprema. Sarebbe pertanto errato considerare da un punto di vista isolato facce assolutamente complementari della personalità piranesiana, inquadrandolo di volta in volta come vedutista, scenografo, incisore, architetto o teorico.
Genericamente indicato come profeta e precursore del romanticismo, in realtà è entro l’area illuminista che affondano le radici dell’ideologia piranesiana, raccogliendo l’appello vichiano ad un’analisi filologica sui «grandi frantumi dell’antichità» . Se già dal 1745 l’artista concepiva l’abbozzo per le sue Carceri, dopo alcuni anni egli consacrerà il suo genio e la sua attività alla rappresentazione di Roma.
In realtà un comune sentire lega questi due aspetti, solo in apparenza contraddittori: la città vertiginosa, quasi sommersa nella notte, trova il suo contraltare nella capacità di osservazione precisa, di perspicacia, di esattezza indispensabili a ogni studio archeologico e storico .
Impossibile scindere i due aspetti se perfino le visioni più oniriche risentono delle sue ricerche sull’arte di costruire presso i romani e si notano in esse non pochi elementi formali tratti dai disegni archeologici e dai ricordi delle passeggiate erudite .
Emerge, pur nelle differenze cronologiche dei due volumi a stampa, tutto il senso di suscitazione culturale che le archeologie di Piranesi hanno esercitato nel tempo. Un nucleo incandescente in cui passione arte e cultura si fondono nel «fuoco nero del segno» e, come nell’antichità, Memoria e Immaginazione si confondono. Mnemosyne è la personificazione della memoria, invocata perché garanzia di verità, di continuità storica; ma anche, come la poesia, eternatrice, in grado di fissare i valori da tramandare. Piranesi sceglie di trasferire nella carta un ordine fondato sulla pace e sulla giustizia, che è il più alto grado della storia; le virtù che identifica nell’architettura dei romani sono civili più che militari .
Sono gli anni in cui attorno agli studi di alcuni artisti come Bartolomeo Cavaceppi, scultore e collezionista romano, oggi considerato uno dei più grandi restauratori del Settecento, si raccolgono eruditi, connaisseur, collezionisti e agenti delle grandi corti europee, mossi da una sorta di “furore” antiquario.
Anche l’atelier di Piranesi, prima in via del Corso e poi in strada Felice, è un luogo di scambio, in cui si moltiplicano copiose le sollecitazioni e le spinte culturali del suo tempo.
I due volumi a stampa presi in esame testimoniano altrettanti momenti del lavoro dell’artista: L’uno precede e l’altro segue la pubblicazione de Le Antichità Romane, che costituiscono il punto nodale della sua opera, in quanto coronamento della ricerca condotta sul territorio, sin dal suo arrivo a Roma nel 1740, e inizio di una nuova stagione che lo vedrà tra i protagonisti del dibattito europeo sull’Antico, consegnando un fondamentale contributo alla nascente disciplina dell’archeologia .
Inoltre, entrambi i volumi esaminati non sono legati all’editore Bouchard, ma sono stati pubblicati dallo stesso artista; gli Archi di Trionfo si vendono nella bottega che egli impianta a via del Corso: «appresso Piranesi, dirimpetto l’Accademia di Francia in Roma», mentre Il Campo Marzio dell’Antica Roma viene pubblicato l’anno successivo al trasferimento dell’artista a Palazzo Tomati, in strada Felice, un cambiamento fondamentale che segna l’interruzione del sodalizio con Bouchard e l’intento di divenire editore di se stesso.
La grande diffusione dell’arte delle stampe nel secolo XVIII era un fenomeno già evidente e riconosciuto dai contemporanei di quella felice stagione artistica. La vasta e qualitativa adesione a questo settore artistico rispetto alle arti pittoriche è sintetizzata nel pensiero del Lanzi: «perché [il Settecento] è stato il men fecondo di grandi geni e di grandi opere pittoriche» ma anche il più propizio a questa forma di espressione artistica «sorgon nuovi gabinetti in ogni luogo» che entrava a pieno titolo nella formazione della élite culturale del tempo «è gran parte della civile coltura sapere i nomi, discernere il taglio…» .
Il valore documentario assegnato alle stampe, accanto al carattere didattico e descrittivo, si esplicita nel progredire dell’immenso lavoro di studio e classificazione dell’antico da parte di Piranesi che inaugura, ovvero porta a uno stadio inedito di correttezza, un processo metodologico che segnerà l’inizio di una moderna scienza topografica. Ai frutti di questo processo conferirà una veste spesso di qualità artistica suprema, che assicurerà alla sua opera una forza di penetrazione straordinaria . Infine, è l’aspetto imprenditoriale, di lucido promotore della sua opera che emerge dalle pieghe della biografia, fin dai primi contatti con Joseph Wagner, di cui diventa agente in Roma.
Nel 1753 sposerà, con l’intermediazione del suo stampatore Vittori, Angela Pasquini, figlia del giardiniere dei principi Corsini. Con la dote di 300 scudi potrà acquistare rame e carta per proseguire l’incisione delle Vedute di Roma .
È nel 1762 che avviene il trasferimento a palazzo Tomati, vero e proprio opificio, dove pubblicherà, con regolari aggiornamenti, una elegante tavola-catalogo figurata, con i titoli delle incisioni e il loro prezzo, regolarmente aggiornata fino alla morte. In questa Roma febbrile, in cui circolano instancabili viaggiatori e idee, si iniziano a definire le figure dell’archeologo, ma anche quelle del libraio e del tipografo, e dell’artista, inteso in senso moderno, che Piranesi vorrebbe indipendente dall’influenza della committenza .
Si tratta di un’autonomia che appare gravata da mille incertezze e difficoltà; ad esempio le spese legate alla carta (si vedano alcuni esempi di filigrane in Piranesi) che, ancora nel XVIII secolo, rimane una derrata rara e costosa, se si pensa che dai conti relativi all’edizione dell'Encyclopédie di Diderot e D’Alambert risulta che essa incise del 67% sul prezzo del costo dell’opera.
L’impresa di classificazione e documentazione che l’artista intraprende attraverso le immagini a stampa è smisurata. Grazie ai suoi risultati, il metodo concreto dell’archeologia si andrà a sostituire definitivamente all’erudizione di gabinetto, attirando ancora una volta l’attenzione dell’Europa letteraria sulle bellezze della Roma Antica. Gli archeologi esistono, prima del 1740, ma le loro opere frammentarie, senza unità, prive di ogni verifica, riflettono l’isolamento degli autori, la mancanza di ogni metodologia.
I due volumi corsiniani sono un’ulteriore testimonianza di come lo studio condotto da Piranesi sulle vestigia della Roma antica, assurto a metodo d’indagine sistematica, si collochi tra l’innovazione spaziale, che mette in crisi tutta la rappresentazione precedente, rinascimentale e barocca, e lo studio anatomico, condotto «sullo scheletro e i tessuti dell’antichità» .
Di questa complessità enciclopedica sono intessuti i due testi, e di una sorta di solitudine che accomuna le grandi civiltà del passato ai deserti .