Giambattista Piranesi ha dedicato al Foro Romano, al Palatino e al Colosseo alcune tra le sue vedute più imponenti, attente e appassionate. Il Parco archeologico del Colosseo ha voluto quindi celebrare il terzo centenario della nascita del grande maestro veneto con un viaggio tra i propri monumenti che furono oggetto dell’attenzione di Piranesi, realizzando un’applicazione multimediale (Il PArCo di Piranesi).
Contestualmente, per valorizzare e richiamare anche in situ l’operazione virtuale, una serie di pannelli riproducenti le acqueforti più rappresentative accompagnerà il visitatore lungo il percorso previsto nel PArCo, articolato in tappe coincidenti con i punti di vista adottati da Piranesi per concepire alcune delle sue più iconiche raffigurazioni.
In particolare al Colosseo, “fabbrica la più magnifica delle antiche che sia rimasa ne’ tempi nostri” , Piranesi ha dedicato una serie di acqueforti che si dipana lungo tutto l’arco della sua attività e che ne rispecchia a pieno l’evoluzione dello stile e dell’approccio “vedutistico”.
Egli si misura per la prima volta con il più imponente e importante monumento conservato dell’Antichità romana nella veduta titolata Anfiteatro Flavio detto il Colosseo in Roma, contenuta nel volume del 1748 Antichità Romane de’ Tempi della Repubblica, e de’ primi Imperatori (opera poi riedita come Alcune Vedute di Archi Trionfali) . Si tratta della veduta più oggettiva del monumento, raffigurato da nord-ovest in tutta la sua placida maestosità e completezza, dal primo ordine all’attico, col panorama che declina un delicato sfumare di toni sapientemente resi grazie all’ottima padronanza della tecnica dell’acquaforte, verso l’Arco di Costantino e il Palatino, tratteggiati in lontananza.
A distanza di meno di dieci anni, con le due vedute pubblicate nel 1756 ne Le Antichità Romane, cambia e radicalmente la prospettiva di rappresentazione del monumento. Nella Veduta dell’Anfiteatro Flavio detto il Colosseo, che ne raffigura il versante orientale, Piranesi si esibisce in una tanto virtuosa quanto estrema deformazione prospettica dell’ellisse, anticipando di un secolo l’obiettivo grandangolare fotografico, brevettato per la prima volta nel 1859.
In un’unica “foto”, infatti, è inquadrata quasi metà delle ottanta arcate che componevano l’anello esterno dell’anfiteatro. Nella legenda, l’architetto veneto pone grande attenzione alla mancanza del numero ordinale su un arco del quadrante orientale del Colosseo (lettera A), interpretandola erroneamente come indizio dell’esistenza in antico di un ponte di collegamento tra il Tempio di Claudio sul Celio con l’anfiteatro.
Nella Veduta degli avanzi dell’Anfiteatro Flavio dalla parte interna la drammatizzazione scenografica domina la raffigurazione, con l’incombente rudere posto in primissimo piano al centro della scena. Infatti in questa veduta, caratterizzata da un’inquadratura di gusto scenografico che “taglia” in alto il monumento, Piranesi pone il suo punto di osservazione nei pressi della Porta Triumphalis sul lato ovest dell’anfiteatro e da qui ritrae, alla luce della mattina, la parte nordorientale della cavea. Al centro del disegno, domina la scena quanto resta di un’arcata in blocchi di travertino, il cui cono d’ombra riduce quasi al buio lo spazio retrostante e conferisce un efficace senso di profondità all’intera veduta. Un chiaroscuro drammatico che contribuisce ad aumentare l’effetto cupo della scena trasmesso dalle figurine accovacciate o chine, alcune delle quali dirette verso la Porta Libitinaria, al margine destro del quadro.
Accanto a questa porta, è ben visibile la chiesetta di Santa Maria della Pietà costruita dall’Arciconfraternita del Gonfalone nel 1517, insieme all’attigua abitazione di un eremita incaricato per il ruolo di custode. Chiesa e casa furono restaurati nel 1622, e così li raffigurerà Piranesi più di un secolo dopo: la chiesa con portale rinascimentale di travertino e piano superiore a finestra unica, sormontato da un piccolo campanile a vela. Un terrazzo pergolato con viti rampicanti abbelliva la casa del guardiano.
Quattro, e realizzate nell’arco sostanzialmente di un ventennio, sono le tavole dedicate all’Anfiteatro nella raccolta Vedute di Roma.
La prima, Veduta dell’Anfiteatro Flavio, detto il Colosseo, del 1757 ca. , riprende il monumento dallo stesso punto di vista della stampa del 1748 e la stessa, accentuata aberrazione prospettica della veduta del 1756 del fronte orientale del monumento. Questa veduta coglie invece l’anfiteatro da nord-ovest, da un punto oggi grossomodo corrispondente all’angolo nord del prospiciente Tempio di Venere e Roma. Anche qui, in legenda, Piranesi interpreta l’abrasione sulla fronte dell’arco come traccia di un ponte di collegamento con gli antistanti edifici sul colle Esquilino (lettera D). In seguito, la ricerca archeologica supportata dalle raffigurazioni monetali consentirà invece di ricostruire l’esistenza di un piccolo portico addossato a questo arco, sormontato da una quadriga. Si trattava probabilmente di un ingresso monumentale, l’unico conservato dei quattro posti in corrispondenza dei due assi principali dell’ellisse, diretto al palco imperiale che si suppone si trovasse proprio al centro del lato nord dell’arena. Nell’acquaforte di Piranesi, ben caratterizzati sono i muretti che chiudevano le arcate del primo ordine, e in particolare, a sinistra, il portale di legno a cui conduce un sentiero battuto, utilizzato come ingresso al monumento. Fu papa Clemente X alle soglie dell’anno santo del 1675 a volere per la prima volta chiudere le arcate del piano terra con una serie di muretti e cancelli di legno, per garantire una maggiore sicurezza all’edificio.
Di nuovo l’interno e le sue maestose, sublimi e terrifiche rovine sono protagonisti della Veduta dell’interno dell’Anfiteatro Flavio detto il Colosseo, databile al 1766 ca. Rispetto all’acquaforte di dieci anni prima, rimanendo sempre nel quadrante SW, qui Piranesi allarga il campo del suo obiettivo virtuale, facendo rientrare nell’inquadratura anche uno scorcio dell’ambulacro a destra, reso “in chiaro” nonostante in realtà abbia il sole alle spalle. Ma soprattutto, più che negli altri casi, in questo disegno del Colosseo Piranesi si sofferma con attenzione sulla vegetazione spontanea che per secoli caratterizzò l’aspetto del monumento, tanto da ispirare studi monografici sull’argomento.
Il primo fu il trattato Plantarum Amphytheatralium Catalogus , pubblicato dal botanico romano Domenico Panaroli, seguito nel 1815 dall’Enumeratio Plantarum sponte nascentium in ruderibus Amphiteatri Flavii di Antonio Sebastiani, fino a raggiungere il culmine 1855 con il trattato Flora of the Colosseum of Rome, dove Richard Deakin cataloga con dovizia di particolari oltre 400 specie di piante. Una rigogliosa vegetazione infestante che inizierà a essere rimossa sistematicamente solo con l’intervento degli archeologi a partire dal 1870, con grande rammarico di Elisabetta Fiorini Mazzanti. Donna colta e di nobili origini, fu botanica di professione molto apprezzata per i suoi studi specialistici sui muschi, compresi quelli del Colosseo a cui dedicò l’ultimo lavoro della sua vita, la Florula del Colosseo, pubblicato in quattro “puntate” tra il 1875 e il 1878.
La Veduta dell’Arco di Costantino e dell’Anfiteatro Flavio detto il Colosseo, del 1760 ca., rende un aperto, solare e romantico omaggio al cuore di Roma antica nel Settecento, attraverso la “messa in scena” dei due suoi monumenti più riprodotti dai vedutisti e ambiti dai viaggiatori dell’epoca del Grand Tour.
Alla luce di un pomeriggio inoltrato, Piranesi pone il suo punto di vista nell’angolo nord-est del Palatino, al margine della Vigna dell’Abadia di San Sebastiano, in seguito divenuta proprietà del Principe Barberini. Da questo terrazzo, l’Anfiteatro appare nel suo contesto topografico, al centro della valle compresa tra le pendici del Palatino in primo piano, quelle del Colle Oppio con i resti delle terme di Tito e Traiano in alto a sinistra e il Celio a destra, alla cui base si riconosce il recinto con portoni delle Vigne Carnovaglia e Paganica, passate in seguito rispettivamente alla Camera Apostolica e alla famiglia dei Colonna. Del Colosseo, sul lato sinistro della veduta è raffigurata accuratamente la sezione dei due corridoi anulari interrotti, poi sigillati con i restauri dell’architetto Giuseppe Valadier tra il 1822 e il 1827. Poco tempo prima, solo due anni impiegò l’architetto Raffaele Stern per realizzare l’analogo e imponente “sperone” di rinforzo sul versante opposto dell’ellisse, opera che diede avvio a un progressivo recupero del monumento su impulso di papa Pio VII Chiaramonti. Una ripresa iniziata nel 1804 con il trasferimento del deposito di letame che aveva invaso, degradandoli, i primi due piani del Colosseo fin dal 1724 per servire una vicina fabbrica di salnitro. Nella sua acquaforte Piranesi tratteggia con cura anche il grande squarcio nella muratura sul fianco meridionale dell’anfiteatro, che forse già il forte terremoto del 1349 (ricordato anche da Francesco Petrarca) e l’intensa attività di spolio avevano reso tanto ampio da lasciar vedere da fuori la chiesetta di S. Maria della Pietà. La breccia fu risarcita tra il 1831 e il 1846 su progetto di Gaspare Salvi, che provvide anche ad armonizzare altre discontinuità dell’anello esterno e dei corridoi più interni.
Apice della lucidissima e razionalissima fantasia piranesiana è la Veduta dell’Anfiteatro Flavio detto il Colosseo, del 1776 ca. Dal punto di vista prospettico, si tratta sicuramente di una delle vedute più audaci mai disegnate da Piranesi: una spettacolare vista a volo d’uccello dell’interno dell’anfiteatro, da un punto di vista virtuale posto a oltre 100 m di altezza dal terreno, a sud del monumento. Alla scelta di questa ardita veduta sono da riferire anche gli splendidi disegni conservati alla Kunstbibliotek di Berlino che raffigurano il monumento sempre “a volo d’uccello” ma da diversi punti di vista, ossia da nord e da ovest.
La sovrapposizione con le immagini colte attraverso un drone permette di apprezzare oggi l’incredibile maestria dell’architetto nella restituzione grafica del monumento. Anche in questo caso, l’autore non rinuncia a giocare con le proporzioni riducendo fino a tre volte rispetto al reale le figure che si muovono sull’arena, mentre all’esterno delle mura il rapporto dimensionale uomo/edificio torna a essere verosimile. Nella didascalia, Piranesi si cura di illustrare la disposizione delle diverse categorie del pubblico sugli spalti, riportando correttamente il noto schema graduale del tempo di Augusto con gli uomini notabili nei posti migliori in basso e le donne sui gradini più in alto. Lungo il perimetro dell’arena si riconoscono le quattordici edicole della Via Crucis, installate per volere di Benedetto XIV in occasione del Giubileo del 1750 su progetto di Paolo Posi, architetto definito “bizzarro” dalle fonti dell’epoca. Nel 1814 nuove edicole furono costruite e poste a una quota più bassa delle precedenti. Furono infine rimosse definitivamente nel 1874, insieme alla croce al centro dell’arena, per consentire lo scavo integrale dei sotterranei interrati dal VI secolo; in seguito, grazie ai singoli elementi opportunamente conservati, fu possibile rimontare l’edicola ancora oggi visibile.
Quasi allo scadere della sua esistenza, questa veduta del Colosseo dal cielo sigilla lo straordinario rapporto tra Piranesi e il più maestoso, e forse da lui più amato, monumento dell’Antichità.