Inquadrare Giovanni Battista Piranesi (1720-1778) come uno dei padri nobili del design è un orientamento relativamente recente. Iniziative come la mostra veneziana Le arti di Piranesi. Architetto, incisore, antiquario, vedutista, designer, ideata e allestita da Michele De Lucchi e curata da Pasquale Gagliardi e Giuseppe Pavanello con la consulenza di John Wilton-Ely, e l’esposizione Piranesi As Designer curata da quest’ultimo al Cooper-Hewitt National Design Museum di New York (2007) sono le più recenti steli di questa interpretazione. Oltre a queste due rassegne, negli ultimi decenni si è fatta strada una significativa letteratura sull’argomento, specie a partire dallo studio analitico o interpretativo delle due raccolte ideate anche per “pubblicizzare” ai fini della vendita i pezzi da lui ritrovati e ricostruiti: Diverse maniere d’adornare i cammini… (Roma, 1769) e Vasi, candelabri, cippi, … (Roma, 1778). Anche l’apporto di Piranesi come decoratore di interni e di arredi è stato meglio riconosciuto recentemente.
L’esposizione alla Fondazione Cini, affiancando alle stampe una serie di creazioni (in edizione limitata) realizzate dallo studio Factum Arte di Adam Lowe tratte da tavole di Vasi, candelabri, cippi...(1778), ha aperto anche a una prospettiva di riprogettazione dei pezzi. Essendo state realizzate prima della pubblicazione Museo Piranesi del 2017, queste creazioni sono avvenute al di fuori di un quadro esaustivo della storia dei pezzi realizzati, incisi o venduti da Piranesi. Lowe ha elaborato tridimensionalmente alcune incisioni concretizzandole in sette oggetti (una caffettiera in argento, due tripodi bronzei, un altare in porfido e bronzo, un candelabro, un vaso con teste di grifoni e un camino marmoreo corredato da alari e braciere). Successivamente, alcune di queste opere sono state esposte al Sir John Soane’s Museum di Londra a cura da Jerzy Kierkuć-Bieliński, forte sostenitore delle potenzialità della stampa tridimensionale.
La riproduzione di “pezzi” piranesiani proposta da Lowe ha, in realtà, notevoli antecedenti. Diversi pezzi incisi in Vasi, candelabri, cippi… sono stati riprodotti da orafi come Paul Storr, il maggiore argentiere del periodo Regency, Rebecca Emes, Edward Barnard e Benjamin Smith.
Il Rhyton a testa di cinghiale acquistato dal re di Svezia, ad esempio, era già stato replicato in numerose copie. Lo troviamo in un acquerello del 1805 del pittore orientalista Théodore Brongniart e, come ricorda González-Palacios, “was rendered in porcelain at Sèvres and was part of the Service Olympique given to Czar Alexander I in 1807, and now displayed in Moscow”. La triremi rostrata di marmo di proprietà del conte di Yarborough a Brocklesby Park, incisa alle tavole CV e CVI di Vasi, candelabri, cippi… fu riprodotta in porcellana a Parigi tra il 1815 e il 1820.
In Inghilterra troviamo numerose copie in argento di vasi incisi da Piranesi. A far conoscere le stampe presso gli orafi fu Charles Heathcore Tatham con il suo Etchings Representing the best examples of Ancient Ornamental Architecture… in Rome del 1799 nel quale, fin dalla prefazione, l’esaltazione di Piranesi è massima. David Udy ha studiato le copie di vasi incisi da Piranesi riprodotti in argento da Paul Storr nel XIX secolo e conservati nel suo atelier, prima che andasse perduto.
Nel 1800 Storr realizzò due vasi in argento per la collezione del duca di Bedford e il tripode di Ercolano, altrimenti noto come tripode proveniente dal Tempio di Iside di Pompei oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e inciso da Piranesi. Questo pezzo ebbe fortuna in Francia: “Abroad, the model appeared possibly as early as 1802 in furnishing of Malmaison and also in the designs of Percier and Fontaine, in both case in a modified form, but, apart from its appearence in two designs by Thomas Hope, it had little attraction for the English designer”. Il pezzo ottenne fortuna anche in Italia: Luigi e Francesco Manfredini, per la loro Manifattura Fontana di Milano, ne realizzarono due copie in bronzo dorato nel 1811 per Eugène di Beauharnais, figliastro di Napoleone, e Maria Luisa D’Asburgo Lorena.
Storr - che lavorava anche per Rundell Bridge & Rundell – nel 1808 realizzò alcuni wine-coolers che riproducono il Vaso Medici e il Fregio Borghese esattamente come incisi da Piranesi. Analogamente, durante i sette anni di soggiorno a Roma dal 1787, anche Flaxman realizzò una copia in terracotta del Vaso Borghese. Il riferimento non è solo a Piranesi, ma in generale a quello che è andato definendosi come “stile Piranesi”: “Flaxman’s stay in Rome and that of his assistant, Devaere, had been partly financed by Wedgwood, in return for which Flaxman had supervised the work of Pacetti, Angelini and Dalmozzi, who were providing Wedgwood with drawings and models of Antique reliefs”. Flaxman conosceva da tempo il Fregio Borghese, ma la riproduzione dei baccanali nelle manifatture divenne popolare con Wedgwood. Manifatture che realizzarono anche splendide riproduzioni del Vaso Portland, pure inciso da Piranesi nel terzo volume delle Antichità Romane. Storr utilizzò il motivo del baccanale in un set di otto wine-coolers realizzati tra il 1811 e il 1812 per il Principe di Galles ispirati, soprattutto, alla terracotta di tavola 53 dei Monumenti Antichi inediti di Winckelmann. Copie del Vaso Portland, ora nelle collezioni del Victoria & Albert Museum, furono realizzato da Wedgwood intorno al 1790.
Le incisioni del Vaso Warwick e del Vaso Lante di Piranesi, unitamente a quelle di altri incisori, servirono come base per riproduzioni in argento dei due pezzi. Il Vaso Warwick, che Hamilton aveva cercato di vendere al British Museum prima che finisse a Warwick Castle, divenne un’attrazione internazionale. La fortuna della sua riproduzione era iniziata in Italia con la copia realizzata dalla manifattura di Giovanni Volpato dopo il 1786 e gli “artisti che non poterono usufruire dei calchi si servirono, per la sua riproduzione, proprio delle incisioni fattene da Piranesi”. Il Vaso Warwick fu riprodotto anche da Boschetti in rosso antico per Papa Pio IX. Napoleone aveva deciso che “sarebbe stata la prima opera da esportare” dopo la mai riuscita occupazione dell’Inghilterra. Come ricostruisce David Udy, “according to Baron Denon, ‘had the Emperor Buonaparte been successful in conquering England . . . the first note in his pocket-book was to possess himself of the marble vase at Warwick... Warwick refused to allow copies of it to be made, until in 1813 he conceded to Lord Lonsdale’s wish for one, on condition that it was the same size and in silver. Its proportions are vast, measuring seven yards in circumference and standing nearly six feet high. The estimated cost was £ 30,000, which, nevertheless, Lonsdale was prepared to accept.
However, Rundell's, who had been called in, realizing that no precise estimate was possible for such an enormous and complex undertaking, required the words 'more or less' to be added to the contract, to which Lord Lonsdale objected and the project was abandoned. Sir Edward Thomason later achieved the daunting feat of casting it in iron, and bronze copies were made from the same casting patterns and are still to be seen, one in the front of the Senate House at Cambridge and the other at Windsor Castle”. Dal 1812 Storr creò repliche d’argento del Vaso Warwick come rinfrescatoio in argento per re Giorgio IV e dal 1829 realizzò come coppa per la Goodwood Race Cup una copia della Tazza Cesi (Collezione Albani Torlonia), incisa da Piranesi a tavola XXXIII di Vasi, candelabri, cippi…: si tratta della grande tazza con Eracle e thiasos dionisiaco che si trovava a Villa Albani nel Settecento. Storr la realizzò “depended directly on Piranesi’s engraving”. Il vaso Warwick suscita ancora interesse: una copia in argento è stata realizzata come insalatiera per gli Open d’Australia di tennis del febbraio 2009, vinti da Rafa Nadal.
Anche il Vaso Stowe, ora al Lacma Museum, fu riprodotto in argento da Rebecca Emes e Edward Barnard per la Doncaster Gold Cup del 1828: “It will be apparent that Piranesi’s two engravings (…) provide a complete set of working drawings themselves”. Gli esempi si possono moltiplicare poiché, come mostra il saggio di Udy, le tavole di Piranesi servirono a Barnard, Rundell e Storr per realizzare diversi modelli di coppe per le gare equestri dell’Inghilterra vittoriana.
Infine, si può riconoscere un’influenza piranesiana anche nel design contemporaneo in oggetti come le coppe in argento della serie “Grape” di Georg Jensen (1918), nel “Tea and Coffee Service” disegnato da Charles A. Jencks per Alessi (1984) e nell’opera del vasaio inglese Michael Eden (Blackburn, 1955). Eden modella e stampa tridimensionalmente diverse opere d’arte, fra le quali anche incisioni di Piranesi, realizzando una linea di oggetti di design culminata nella mostra Michael Eden: Form & Transform. Da queste sperimentazioni è nato “Innovo Vase” (2016), ennesima rilettura del Vaso Stowe, e, successivamente, “After Piranesi I” (2018) un pezzo che riunisce popolari figure e oggetti della cultura antica e contemporanea (tra i quali Albert Einstein, Topolino, Charles Darwin, un astronauta, Afrodite, il Discobolo di Mirone, Cupido e Nefertiti), “drammaticamente intrecciate per dare dinamismo alla forma del vaso”.
Se dunque recenti sono gli studi e le riproduzioni su Piranesi designer, mentre lunga è la storia della riproduzione di suoi pastiches, negli ultimi anni si sono intensificate anche le elaborazioni in 3D di tavole architettoniche di Piranesi, come mostrano un paio di mostre internazionali di Architettura della Biennale di Venezia. Nella XIIIma Biennale del 2012, curata da David Chipperfield e intitolata “Common Ground”, Peter Eisenman ha esposto gli esiti di un laboratorio studentesco su tre interpretazioni contemporanee del Campo Marzio (1762) - uno dell’ufficio stesso di Eisenman a New York; una seconda curata dal critico Jeffrey Kipnis della Ohio State University con Jose Oubrerie e Stephen Turk e una terza a cura dall’architetto Pier Vittorio Aureli di DOGMA. I risultati sono andati in mostra con il titolo: “Piranesi Variations”. Piranesi è tornato anche alla XIV Bienale, curata da Rem Koolhaas e intitolata “Fundamentals”. Nel Padiglione Centrale, Koolhaas ha allestito la sua mostra, “Elements of Architecture” dedicando una sala a un “elemento” base della cultura architettonica, il “fireplace”. Al centro della sala ha esposto un camino di Piranesi (mai realizzato dall’autore) riprendendolo tra quelli preparati da Lowe per l’esposizione alla Cini e inciso nelle tavole di Diverse maniere d’adornare i cammini…
Da questi percorsi ormai consolidati sul piano critico, e da queste prime realizzazioni si è mossa la sperimentazione di laboratorio degli studenti del corso di Critica d’Arte e d’Architettura (2018-2020) del Politecnico di Milano. Una esercitazione sul tema che li aiutasse a comprendere il linguaggio compositivo piranesiano e a rileggerlo con sguardo contemporaneo. Grazie a scansioni in alta definizione di Diverse maniere d’adornare i cammini e di Vasi, candelabri, cippi… sono stati individuati gli elementi ricorrenti presenti in queste incisioni che sono stati sintetizzati in un abaco di forme archeologiche. Questo abaco è stato catalogato in 12 categorie: anse, basi, coperchi, cornici, fusti, labbri, orli, ornati, pance-patere, piedritti, peducci e trapezofori. Sono risultate 30 tavole sinottiche, di complessivi 130 elementi dai quali “attingere” per nuove composizioni. Ciascun studente è stato invitato a realizzare, a partire dagli elementi delle tavole sinottiche, un nuovo pastiche d’invenzione, di cui qui presentiamo alcuni esiti rimandando per gli altri al Laboratorio Piranesi. Questa parte si è svolta principalmente nell’anno accademico 2019-2020, quello caratterizzato dall’insegnamento e attività da remoto. Pertanto, le ideazioni proposte risentono di questo aspetto sia nella scelta dei soggetti proposti che in un tentativo di affrancarsi, attraverso il gioco compositivo, dalle difficoltà che si attraversavano.